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author | Santo Cariotti <santo@dcariotti.me> | 2022-08-21 18:51:23 +0200 |
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committer | Santo Cariotti <santo@dcariotti.me> | 2022-08-21 18:51:23 +0200 |
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diff --git a/docs/chapters/introduction.tex b/docs/chapters/introduction.tex new file mode 100644 index 0000000..ce461ee --- /dev/null +++ b/docs/chapters/introduction.tex @@ -0,0 +1,15 @@ +Questa relazione fa riferimento a quanto riportato dalla OWASP Foundation \cite{OWASP:1} in merito alla classifica dei Top 10 rischi nei dispositivi mobile dell'anno 2016 \cite{OWASP:2}. + +Definire cosa sia un'\textbf{autorizzazione} è compito di ogni studente del corso di Internet Security ma, stando a quanto citato nell'articolo \cite{auth0:1} un'autorizzazione è \emph{il processo di dare a qualucuno l'abilità di accedere ad una risorsa}. + +Proprio questo, infatti, è quello di cui abbiamo ampiamente discusso nel modulo di \emph{Identity and Access Managment} ed è quello che Auth0 fa esattamente: un gateway per implementare autenticazione e autorizzazione mediante servizi terzi. Per intenderci, esso risolve il classico problema del "Sign in with Google/Facebook/Microsoft". +\section{Autenticazione vs Autorizzazione} +Oltre ad essere un header in una richiesta HTTP differente essi hanno un significato semantico differente. + +Il primo dà la conferma che la coppia di informazioni - come ad esempio (nome utente, password) - inserite si riferiscano realmente ad un utente presente nel sistema. + +Il secondo no, avviene, in teoria, dopo che l'utente ha eseguito il sign in. +\section{Problema nell'autenticazione} +In poche righe, dato che non è argomento di questa relazione, un'autenticazione all'interno di un dispositivo mobile non è \emph{necessariamente} un bug o un errore di progettazione all'interno di un server. Questo perché si potrebbe avere un'applicazione single-page che non si interfaccia ad un backend presente in un server remoto e quindi i dati di autenticazione si possono riferire al dispositivo mobile locale. +\section{Problema nell'autorizzazione} +L'autorizzazione invece può spaziare, dare per assodato che l'autenticazione è stata fatta, e quindi rilasciare una risorsa solo perché quel token che gli stiamo passando è effettivamente \emph{un token valido}, o meglio, un token abilitato (che quindi ha il permesso) a visualizzare (o modificare) una determinata risorsa.
\ No newline at end of file diff --git a/docs/chapters/jwt-attacks.tex b/docs/chapters/jwt-attacks.tex new file mode 100644 index 0000000..5a67c4f --- /dev/null +++ b/docs/chapters/jwt-attacks.tex @@ -0,0 +1,59 @@ +Prendiamo ad esempio un'applicazione che si interfaccia ad un backend usando JSON Web Tokens\cite{JWT:1} per la validazione dell'autorizzazione. +Se prendiamo il token qui sotto +\begin{lstlisting} +eyJhbGciOiJIUzI1NiIsInR5cCI6IkpXVCJ9. +eyJ1c2VyX2lkIjoxfQ. +jYyRJbb0WImFoUUdcslQQfwnXTHJzne-6tsPd8Hrw0I +\end{lstlisting} +sappiamo che la prima parte si riferisce all'header: +\begin{lstlisting} +$ echo "eyJhbGciOiJIUzI1NiIsInR5cCI6IkpXVCJ9" | base64 -d +{"alg":"HS256","typ":"JWT"} +\end{lstlisting} +che la seconda al payload +\begin{lstlisting} +$ echo "eyJ1c2VyX2lkIjoxfQ" | base64 -d +{"user_id":1} +\end{lstlisting} +e la terza all'HS256 \cite{HMACSHA:1} della stringa dei due più un secret. Sappiamo che è HS256 dall'header. +Questo token quindi è passato come header HTTP alla chiave d'autorizzazione. +\begin{lstlisting} +POST /v1/users/2/ HTTP/2 +Host: example.com +Referer: https://example.com +Authorization: Bearer eyJhbGciOiJIUzI1NiIsInR5cCI6IkpXVCJ9.eyJ1c2VyX2lkIjoxfQ.jYyRJbb0WImFoUUdcslQQfwnXTHJzne-6tsPd8Hrw0I +[...] +\end{lstlisting} + +Ipotizziamo che l'endpoint \underline{https://example.com/v1/users/2/} di questa API che vogliamo attaccare guardi l'autenticazione da un cookie che gli si passa e poi guardi l'autorizzazione per accedere all'utente con quell'ID solo se corrisponde all'utente dell'autorizzazione. L'autorizzazione procederebbe con successo ma arrivando all'autorizzazione e decodificato il JWT avremmo un responso del tipo: +\begin{lstlisting} +HTTP/2 401 Unauthorized +\end{lstlisting} +Quindi potremmo ritoccare il token perché presupponiamo che il flow di autorizzazione sia proprio quello descritto nel paragrafo sopra. + +Se scoprissimo qual è il secret usato per fare l'hashing potremmo creare un nuovo payload: +\begin{lstlisting} +$ echo '{"user_id":2}' | base64 +eyJ1c2VyX2lkIjoyfQo= +\end{lstlisting} +Il padding ("=") viene omesso in realtà come da standard. + +Diamo per buono che il secret sia la stringa \textbf{secret}. Tramite un software di cui il sito JWT.io \cite{JWT:2} stesso predispone si può creare e verificare la firma del token. Alla fine avremo proprio +\begin{lstlisting} +eyJhbGciOiJIUzI1NiIsInR5cCI6IkpXVCJ9. +eyJ1c2VyX2lkIjoyfQ. +9YCOE7tXJFvXEkLKezdd42NArXH6JXLtHbQu-KrwQSA +\end{lstlisting} +che, passato alla richiesta, avremo finalmente il responso con i dati dell'utente con ID 2: +\begin{lstlisting} +HTTP/2 200 OK +[...] +\end{lstlisting} +Questo potrebbe essere un bell'attacco, peccato però che tutti (spero) i backend che adoperano l'uso di JWT (spesso anche per autenticazione) usano un payload del tipo: +\begin{lstlisting} +$ echo "eyJ0b2tlbl90eXBlIjoiYWNjZXNzIiwiZXhwIjoxNjY0NjE1NDcxLCJqdGkiOiIyMGM3Nzk2YTljM2Y0Yjk4YmM3ODdkNDRmNzRiNGE0YyIsInVzZXJfaWQiOjF9" | base64 -d +{"token_type":"access","exp":1664615471,"jti":"20c7796a9c3f4b98bc787d44f74b4a4c","user_id":1} +\end{lstlisting} +e da questo, anche se riuscissimo a scoprirne il \textbf{secret} per la verifica, dovremmo far conto sia con la timestamp di scadenza che con l'ID (JTI). Il payload di questo listato è stato generato da un'app realizzata usando dj-rest-auth \cite{DJ-REST-AUTH:1} il quale alla base usa la libreria PyJWT \cite{PYJWT:1}. + +Come ampiamente discusso da Portswigger nel loro articolo \cite{JWT-ATTACK:1} sono numerosi i possibili attacchi a JWT, molti dei quali, in realtà, vengono eseguiti modificando l'header, come ad esempio l'attacco a JWK \cite{JWK:1}; niente che una buona libreria aggiornata non possa prevenire.
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